“La primavera di quest’anno si presenta positiva, con tutte le premesse perché per il miele sia un’annata nuovamente interessante, sia sotto il profilo produttivo, sia dal punto di vista qualitativo. L’annata scorsa purtroppo è stata disastrosa, con produzioni praticamente azzerata e serie preoccupazione per la sopravvivenza degli alveari; oggi possiamo di nuovo guardare al futuro con fiducia, sperando che arrivi qualche pioggia per aiutarci nel nostro lavoro quotidiano di salvaguardia della biodiversità”.
Così Andrea Bianco, apicoltore di Caluso (Torino) che è intervenuto questa mattina in rappresentanza di Confagricoltura Piemonte alla Giornata mondiale delle api organizzata dalla Regione Piemonte alla Palazzina di caccia di Stupinigi.
Nell’incontro Andrea Bianco ha sottolineato la necessità di sfruttare al meglio le opportunità della nuova politica agricola comunitaria, in particolare per quanto riguarda gli interventi agro-climatici-ambientali. “Quando verrà approvato il Piano strategico nazionale che attualmente l’Italia sta discutendo con Bruxelles – ha dichiarato Andrea Bianco – gli apicoltori potranno fruire di due interventi di sostegno importanti”.
Ercole Zuccaro, direttore di Confagricoltura Piemonte, chiarisce che l’organizzazione “sta lavorando per far sì che il piano possa accogliere anche le nostre proposte, favorendo lo sviluppo coltivazioni erbacee e floreali di interesse apistico: la sopravvivenza degli insetti impollinatori è importante non solo per chi produce miele, ma per tutta l’agricoltura”.
In Piemonte, in base alla Banca Dati Apistica nazionale al 31 dicembre 2021 erano attive 6.821 aziende apistiche con 195.191 alveari.
Il Piemonte è la prima regione italiana produttrice di miele, con oltre 5.000 tonnellate di produzione – in annate ordinarie – seguita da Toscana (3.000) ed Emilia Romagna (2.000). Le aziende professionali che praticano nomadismo in Piemonte ottengono mediamente circa 33 kg di miele per alveare (30 kg la media nazionale).
Confagricoltura Piemonte, in occasione del convegno organizzato dalla Regione Piemonte che si è svolto questa mattina alla Palazzina di caccia di Stupinigi, ha allestito uno stand espositivo nel quale ha ospitato, tra gli altri, il sottosegretario alle Politiche agricole Gianmarco Centinaio, l’assessore regionale all’Agricoltura Marco Protopapa il presidente della Federazione Apicoltori Italiani Raffaele Cirone.
“I dati del monitoraggio nazionale del lupo condotto tra il 2020 e il 2021, resi noti nei giorni scorsi nell’ambito del progetto Life WolfApls EU, confermano le nostre preoccupazioni: è necessario un intervento tempestivo da parte delle autorità competenti – dichiara Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte – per riportare la situazione a livelli accettabili, pena lo sconvolgimento della biodiversità dei nostri territori”.
Secondo il monitoraggio sono oltre 900 i lupi presenti nelle regioni alpine, in particolare in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. “I dati dimostrano in modo inequivocabile che il lupo sta diventando un pericolo per gli allevamenti e per il lavoro degli allevatori, non più soltanto nelle aree montane. E’ necessario che le autorità prendano atto della situazione – aggiunge Allasia – e agiscano con misure di contenimento efficaci”.
Gli agricoltori sono esasperati. “Secondo i dati ufficiali della Regione – chiarisce Ercole Zuccaro, direttore di Confagricoltura Piemonte – nel corso del 2020 i servizi veterinari hanno registrato sul sistema informativo regionale ARVET 183 accertamenti per predazione al bestiame domestico, per un totale di 478 capi morti e 46 feriti”.
I danni prodotti dai grandi predatori, nelle campagne e soprattutto negli alpeggi, scoraggiano le attività di allevamento: se si vuole favorire gli investimenti nel settore primario – precisa Confagricoltura in una nota – soprattutto nei territori svantaggiati, si devono creare le condizioni per operare in sicurezza. Confagricoltura ricorda che gli allevatori sono impegnati per migliorare il benessere animale e che la prima condizione per la cura del patrimonio zootecnico è la tutela delle mandrie e delle greggi dai selvatici.
Quest’anno in Piemonte si potranno seminare 13.000 ettari di superfici a seminativo in più rispetto all’anno scorso. È la conseguenza della decisione adottata da Bruxelles che, per fronteggiare la riduzione degli approvvigionamenti di alimenti e mangimi causata dalla guerra in Ucraina, ha concesso una deroga per quanto riguarda l’utilizzo delle dei terreni “a riposo” e delle aree di interesse ecologico (Aree EFA – Ecological Focus Area).
Le aziende agricole – chiarisce in una nota Confagricoltura Piemonte – per poter ottenere gli aiuti comunitari, devono lasciare a riposo il 10% delle superfici a seminativo: quest’anno l’obbligo potrà essere derogato. Inoltre si potrà seminare, per esempio, anche sulle superfici agroforestali realizzate con i contributi del Programma di Sviluppo Rurale, lungo le zone periferiche delle foreste e nelle cosiddette “fasce tampone” lungo i corsi d’acqua.
“Le superfici per le quali è stata concessa la deroga – dichiara Ercole Zuccaro direttore di Confagricoltura Piemonte – interessano circa 3.900 ettari in provincia di Alessandria, oltre 2.400 ettari in provincia di Asti, circa 2.200 ettari in provincia di Cuneo e altrettanti in provincia di Torino, oltre 2.000 ettari equamente ripartiti tra Vercelli e Novara”.
Nonostante le autorizzazioni europee, la produzione di mais, il principale alimento utilizzato per l’alimentazione dei bovini e degli avicoli (galline, polli da carne, tacchini e faraone) aumenterà di poco, in quanto gli agricoltori non destineranno tutte le superfici aggiuntive alla coltivazione di questo cereale. “I fattori che limitano la coltivazione del mais in quest’annata – spiega Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte – sono la carenza di acqua per l’irrigazione e il forte aumento dei concimi azotati: le previsioni dell’Arpa, nonostante le precipitazioni dei giorni scorsi abbiano comunque portato sollievo alle colture, sono di una siccità considerata severa e, per alcuni territori, addirittura estrema. Sono venute a mancare le precipitazioni invernali, soprattutto quelle nevose, che costituiscono tradizionalmente un’ottima riserva idrica per tutta la campagna agraria. Se non si registreranno condizioni straordinarie, nei mesi di giugno, luglio e agosto le coltivazioni potrebbero andare incontro a importanti stress idrici e il mais, in quel periodo, ha un grande fabbisogno di acqua che sarà difficile soddisfare. Inoltre – aggiunge Allasia -il mais è una coltivazione che richiede importanti apporti di concimi azotati, che nell’arco di un anno sono aumentati del 270% e oggi sono molto difficili da reperire”.
Tutto questo fa sì che gli agricoltori riservino la coltivazione del mais alle aree più fresche e che comunque potranno essere, almeno parzialmente, irrigate. Nei terreni più permeabili e nelle zone collinari molti agricoltori si stanno indirizzando verso la soia, più resistente alla siccità e che non richiede concimazioni azotate, in quanto sulle radici della pianta si instaurano dei batteri in grado di catturare l’azoto atmosferico. Un’altra coltivazione che sostituirà parzialmente il mais è il girasole, pianta rustica, in grado di resistere meglio alla siccità.
Secondo le previsioni di Assosementi, l’organizzazione di categoria che a livello nazionale rappresenta l’industria sementiera, per il mais è attesa una contrazione del 5%, rispetto ai complessivi 960.000 ettari dell’anno precedente. “In Piemonte, come nel resto d’Italia, da un decennio si sta registrando una contrazione significativa delle superfici condotte a mais: nel 2012 – commenta Enrico Allasia – la superficie coltivata era di circa 195.000 ettari, mentre l’anno scorso ne sono stati seminati soltanto 132.000″.
Confagricoltura sottolinea la necessità di intervenire al più presto con la costruzione di invasi per contrastare la siccità. In molti periodi dell’anno si verificano precipitazioni in eccesso; con la costruzione di invasi le acque meteoriche potrebbero essere conservate nei bacini di accumulo e rilasciate secondo la necessità.
In Piemonte i prezzi del latte alla stalla sono troppo bassi e molti allevamenti rischiano la chiusura. Negli ultimi mesi si registra un sensibile aumento delle macellazioni di vacche da latte. Confagricoltura attiva per il collocamento del prodotto alle migliori condizioni di prezzo.
Le imprese di allevamento che producono latte stanno attraversando un momento di forte difficoltà. “I costi di produzione sono lievitati in modo impressionante – spiega Guido Oitana, presidente della sezione latte di Confagricoltura Piemonte – mentre il prezzo del latte alla stalla continua a rimanere fermo, o mostra segnali di aumento troppo deboli a fronte delle maggiori spese che vengono sostenute dagli allevatori da un anno a questa parte: il prezzo del mais per l’alimentazione delle bovine è aumentato del 67%, il gasolio del 72% e l’energia elettrica addirittura del 392%“.
Molti allevamenti sono sull’orlo del collasso. I caseifici, che pure accusano aumenti di costi dovuti all’aumento delle spese di trasformazione, non stanno fornendo agli allevatori un adeguato riconoscimento per il loro impegno. Granarolo, attraverso la cooperativa Granlatte, ha adottato un atteggiamento responsabile, riconoscendo ai produttori un prezzo di 48 centesimi per ogni litro di latte, premi di qualità esclusi. Il prezzo del “latte spot”, quello che è venduto senza contratti di fornitura periodica, è in forte aumento da mesi e la quotazione ufficiale dell’ultima settimana è di 51 centesimi al litro. In questo contesto, in Piemonte, per contratti di fornitura annuali, oggi la maggior parte delle industrie paga il latte alla stalla tra i 40 e i 42 centesimi al litro.
Stretti nella morsa di costi di produzione sempre più alti e ricavi fermi molti allevatori stanno pensando di abbandonare la produzione. “Dieci anni fa – ricorda Roberto Abellonio, direttore di Confagricoltura Cuneo -– nella regione subalpina erano attive 2.243 stalle da latte: oggi sono soltanto 1.625 (-27,6%, in pratica ha chiuso una stalla su 4). La maggior parte degli allevamenti da latte si concentra in provincia di Cuneo e Torino, rispettivamente con 722 e 580 stalle. Le vacche allevate in Piemonte 120.703, per una produzione annua di 1.154.731 tonnellate di latte, che rappresentano un valore all’origine di circa 485 milioni di euro.”
In Italia sono attivi 26.000 allevamenti di vacche da latte, che sviluppano un fatturato di 16 miliardi di euro.
“Produrre latte sta diventando antieconomico. Negli ultimi mesi – chiarisce il direttore di Confagricoltura Piemonte Ercole Zuccaro – stiamo assistendo a un aumento significativo delle macellazioni di vacche da latte: gli allevatori che non riescono a far fronte all’impennata dei costi di alimentazione degli animali preferiscono limitare le perdite, chiudendo le stalle. Gli stabilimenti di macellazione hanno incrementato l’attività e, se le condizioni non cambieranno, questo fenomeno tenderà a consolidarsi nei prossimi mesi. La produzione di latte negli altri Paesi europei sta calando e ormai le industrie straniere stanno importando latte italiano, evento che si era mai riscontrato finora“.
Nei prossimi mesi, complice anche il calo fisiologico della produzione a causa dell’aumento delle temperature che rende meno produttive le mandrie, il latte potrebbe mancare. “È necessario che tutti gli attori della filiera facciano la loro parte, per evitare di impoverire il nostro patrimonio zootecnico da latte – dichiara il presidente di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia – e per questo Confagricoltura si sta impegnando per favorire il collocamento di latte sul mercato alle migliori condizioni di prezzo. Alle imprese diciamo di non vendere il prodotto sottocosto e di non accettare condizioni di aumento di prezzo poco significative: siamo a loro disposizione per il collocamento del prodotto, anche con imprese che operano su mercati internazionali, per superare questa situazione di difficoltà, con l’obiettivo di salvaguardare il nostro patrimonio zootecnico. Questo è il momento – conclude Allasia – in cui occorre pianificare investimenti e strategie di mercato nel medio lungo periodo, che richiedono un’adesione convinta di tutta la filiera produttiva e commerciale. Non servono prove di forza ma collaborazioni convinte, nell’interesse del nostro sistema produttivo“.